Prima di questo sito, c’era un blog e prima ancora c’era “Il giornalino dell’Arca”. Piccola pubblicazione cartacea distribuita a tutti i genitori e realizzata da alcune colleghe e da alcuni genitori. Era il primo tentativo di avere uno spazio in cui condividere pensieri e racconti sulla prima infanzia, e sottolineare il valore del lavoro educativo sui primi anni di vita.
Riprendiamo un’articolo di circa 15 anni: in questo caso c’è una mamma che osserva i papà raccontare la loro esperienza genitoriale e condividere emozioni e pensieri del diventare padri. La riunione solo per i papà era allora una consuetudine presso La casetta per coinvolgerli nella vita del nido e offrire loro uno spazio di confronto.
Sicuramente si parla di cose che ormai si dà per scontato che i papà facciano per i loro figli o all’interno della famiglia. Ma di certo non erano così scontate quando il Consorzio è nato, quando spesso la gestione dei rapporti con il nido era delegata solo alle mamma. Possiamo dire che di strada ne è stata fatta da allora e che forse abbiamo contribuito anche noi, creando spazi di confronto come questo.
Cosa succede quando si chiede a un papà di parlare della sua paternità?
“Mi sono imposta di non intervenire in quella riunione. Sì perché l’incontro presso la Casetta era dedicato ai papà. Ero molto curiosa perché non avevo idea di cosa ne sarebbe venuto fuori. È normale che a una donna venga chiesto «cosa vuol dire per te essere diventata mamma?». In fondo, diciamocelo, non vediamo l’ora che qualcuno ci faccia parlare e raccontare la nostra maternità (anche questo giornalino in qualche modo lo testimonia con i racconti che sono più spesso firmati “una mamma” piuttosto che ‘”un papà”). Ma cosa succede quando si chiede a un papà di parlare della sua paternità? Era una situazione per me assolutamente imprevedibile.
Sin dal primo impatto quella riunione si preannunciava inconsueta: sulle sedie erano seduti in maggioranza padri e quindi il panorama era decisamente inedito. Ecco una breve cronaca in presa diretta di quel tardo pomeriggio.
Un fiume in piena
Un papà inizia a raccontare la sua storia. Racconta di come da sempre aveva progettato di avere dei figli e poi di come era stato difficile: le notti insonni che seguivano le altre nottate in bianco. E poi il rapporto con la moglie, assorbita nel ruolo di madre tanto da dare la sensazione di essersi dimenticata di essere anche moglie. Ma poi la voglia di confronto, la riflessione, l’impegno di entrambi diventano le armi vincenti per ritrovare un equilibrio. Nuovo, giacché quando arrivano i figli la famiglia perde il suo antico baricentro. E chiede: «ma quando finisce il tunnel?». Prende la parola un altro papà che invece sostiene che a lui, lo stare sveglio la notte, partecipare all’allattamento e al cambio pannolino non pesa. Ma ecco che un altro parla di come era suo padre. Già, i papà di una volta, quelli che lavoravano lavoravano e di sicuro non cambiavano i pannolini. Invece tutti i papà odierni aiutano anche nel cambio pannolino, nel dare il latte dal biberon, nel vestire i dolci frugoletti. Sì, però, lo fanno a modo loro. Ed ecco le mamme che vigilano su come le mansioni, un giorno di loro esclusiva competenza, vengono svolte dai partner… e, generalmente, hanno da ridire. Per non parlare delle critiche causate dal tempo che gli uomini impiegano a fare qualcosa che le donne in un istante hanno già concluso. Un padre racconta di come sua moglie, quando lui lava i piatti, esce di casa per non vedere né le modalità né la tempistica. A questo punto tutti i presenti annuiscono: anche a me, anche a me… Allora un papà afferma: ma in fondo che male c’è se io il pannolino lo cambio a modo mio? Giusto, giusto, gli fanno eco gli altri. A episodi di quotidianità si accompagnano racconti di esperienze profonde e difficili. I problemi di salute del figlio divenuti occasione per crescere e rivedere se stesso, il presente e il passato, il proprio modo di essere stato un giorno figlio e oggi padre. E tanto altro ancora.
Ho cercato di raccontare in sintesi e mi scuso per le semplificazioni e le lacune. Ma devo dire che sono uscita da quella riunione molto colpita: provo a dire perché. Innanzitutto è stato bello, interessante, ma, direi di più, emozionante ascoltare l’altra metà del cielo. Mi ha stupito molto il fatto che, preso l’abbrivio, sembravano un fiume in piena questi papà che parlavano, raccontavano, si interrompevano e si sovrapponevano. Era come se qualcuno avesse abbassato una diga e permettesse loro qualcosa che di norma a loro, non dico non sia concesso, ma quantomeno capita di rado. Questi papà avevano davvero tanta voglia di parlare. La cosa mi ha sorpreso: quando gli uomini si ritrovano tra loro ho sempre creduto che gli argomenti fossero sport politica, avventure ma che di rado si lasciassero andare a ciò che per noi donne è invece, non solo normale ma direi scontato: la riflessione sui nostri sentimenti profondi, sui nostri dubbi, sulle nostre paure. Noi parliamo sempre. Ma loro? Eppure la riunione dimostra che ne hanno voglia, anzi bisogno.
Ritrovare poi che tutti erano accomunati dalle critiche delle mogli sulle loro modalità di gestire le situazioni casalinghe: beh, mi ha fatto bene, perché allora siamo davvero tutte/i uguali. E il sorriso è un’ottima medicina contro il logorio della vita moderna.
“Noi educatrici ci accorgiamo subito di chi ha vestito il bambino o la bambina quando viene portato all’asilo. Ma va bene così, perché è importante e fa bene al bambino capire che ci sono due modi diversi di fare», ha detto infine Gabriella. Più che due modi, direi due universi, come Federica ha detto nel trarre le conclusioni dell’incontro: «finché non accetteremo che siamo differenti continueremo sterilmente a scontrarci». ”
Una mamma