Articolo di Alessia Varesano, coordinatrice pedagogica e di struttura de Le Aiuole
Quest’anno faccio fatica a relazionarmi con una bambina.
Sfatiamo subito una credenza diffusa secondo la quale tutti i bambini sono belli, carini e soprattutto simpatici.
In questo caso Maria può essere anche bella e carina, ma per niente simpatica.
Faccio fatica ad accettare il suo comportamento, il suo atteggiamento, il suo modo di comandare i bambini e di sedurre gli adulti. Questo è il secondo anno che passiamo assieme, e adesso che è cresciuta mi sembra ancora più difficile stare assieme a lei.
Cerco di guardarla con occhi diversi, di essere più accogliente e comprensiva, cerco di metterla nelle condizioni migliori per giocare con i coetanei, ma poi dice qualcosa o agisce in un certo modo e il mio sforzo è inutile.
Il confronto con le colleghe e con il coordinatore, mi aiuta ad accettare i miei sentimenti negativi e ad accogliere le mie difficoltà, ma la mia elaborazione non da gli esiti sperati: non riesco proprio a entrare in sintonia con la bambina.
Il fatto che le mie colleghe provino il mio stesso sentimento verso la bambina purtroppo rafforza la mia emozione negativa: è come se tra di noi ci fosse un muro dal quale ogni tanto riesco a sporgermi per guardare oltre (quando la prendo in braccio, le faccio le coccole per dormire…), ma che troppo spesso ci divide, mettendo me da una parte, e Maria dall’altra.
Riflettiamo e osserviamo la relazione confrontandola con le altre che intrattengo con le bambine del mio gruppo: cosa c’è di diverso nel mio approccio o nell’approccio delle altre bambine verso di me?
Stare con le altre bambine mi piace. Mi piace occuparmi di loro, prenderle in braccio, giocare con loro, ridere con loro, consolarle quando ne hanno bisogno, cercare di capire i loro bisogni….mi gratifica. Ecco cos’è: la gratificazione, il piacere di stare con qualcuno, di essere utile a qualcuno, di essere talvolta essenziale per qualcuno, è quello che mi manca nella relazione con Maria.
La gratificazione reciproca e soprattutto la mia gratificazione personale e del mio lavoro è quello che con Maria e con la sua famiglia non riesco a sentire.
Le altre bambine e soprattutto le loro famiglie, mi vogliono, mi cercano: per un consiglio, un confronto, un aiuto.
La famiglia di Maria non mi cerca, non cerca la mia professionalità, svalorizzando così il mio lavoro quotidiano con i bambini e i genitori.
Maria quindi, non sentendosi affidata a me come suo referente e referente della sua famiglia, mi respinge; non riesce ad accettare una relazione di tipo profondo con me. I suoi atti, i suoi comportamenti di bambina di due anni, allora prendono un significato diverso.
Attraverso questi atti, Maria mi sta comunicando qualcosa d’importante che con le parole ancora non può dirmi. Vuole farmi provare quello che lei sente ogni giorno nella sua relazione primaria, quella più importante, quando è respinta. E che io, anche io, provo quando lei mi respinge e quando i suoi genitori fanno altrettanto banalizzando il mondo della bambina e del mio lavoro.
In più mi accorgo che Maria prova un sentimento molto particolare, un sentimento adulto che è difficile trovare nei bambini così piccoli: l’invidia. Maria prova invidia dei legami tra educatori e bambini, ma anche tra i bambini stessi, le prime forme di amicizia. Ecco, questo è il sentimento scatenante, quello che spiega le sue provocazioni, i suoi atti respingenti, talvolta distruttivi che gridano: ”Se non posso averlo io allora neanche tu”.
Questa deduzione aggiunta all’osservazione di una collega nuova, che sta ancora conoscendo il gruppo di bambini e che chiede come mai Maria nei momenti di sconforto chieda spesso del papà e quasi mai della mamma, insieme ad un invito a venire al nido non accolto dalla mamma, mi fa finalmente intraprendere la strada giusta. Mi fanno passare dalla parte della bambina, facendomi oltrepassare il muro.
Mi rendo conto così dell’importanza per la bambina di avere qualcuno dalla sua parte, qualcuno che la accolga, che accolga quello che lei prova, compresi i sentimenti negativi e difficili come l’invidia. Un adulto di riferimento che la capisca e la sostenga, che le faccia conoscere nuovi modi di relazione, che la metta in situazioni nuove e più consone a una bambina con le sue caratteristiche, e la sua storia relazionale.
Quell’adulto posso essere io, un nuovo riferimento, in una nuova e più profonda relazione: non avevo niente da perdere e, ora che ho capito, non avevo neanche niente da chiedere a Maria. Posso, ora, solo dare e ascoltare, coccolare, consolare, prendere in braccio, accudire, scherzare e ridere, solo io e lei, mettendo da parte la sua famiglia, ma anche le mie personali richieste di soddisfazione.
Oggi, a distanza di tempo, posso dire che la mia, la nostra fatica ad abbattere un muro e intraprendere un nuovo percorso, ha portato i suoi frutti. Ho avuto le mie soddisfazioni, le mie famose gratificazioni: la bambina mi ha cercato di più, parla di me anche a casa, il rapporto con il gruppo dei pari è migliorato e anche quello con le altre educatrici.
La mia disponibilità ad ascoltarla, capirla e accettarla, ha dato un nuovo significato ai suoi atti, al suo comportamento e soprattutto all’emozione sottostante che li dominava.
IO…. noi l’avevamo accettata, e lei ha lasciato che lo facessimo.
Io ho affinato la mia sensibilità verso le emozioni che si provano lavorando con piccole persone quali sono i bambini, ho migliorato e approfondito il mio modo di entrare in contatto con gli altri grandi o piccoli che siano, sono cresciuta professionalmente e umanamente… e spero di aver contribuito al benessere psicofisico della bambina.
Maria mi è stata di grande aiuto.